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domenica 15 gennaio 2012

"Solo quiero caminar", film d'azione made in Spain

Dallo stesso regista di Sin noticias de Dios (Senza notizie di Dio), il film Solo quiero caminar (Voglio solo camminare) vanta anch'esso un cast di livello. Victoria Abril, Ariadna Gil, Pilar Lopez de Ayala, Elena Anaya. Nomi che chi conosce il cinema spagnolo, apprezza. Un film di quelli che anche se non è nel mio stile mi è piaciuto molto. Si tratta di un film d'azione all'americana, ma dove si riconosce quel tocco che solo gli spagnoli in Europa in questo periodo sanno dare. In attesa che il cinema italiano si svegli dal lungo letargo decennale.
Una banda di ragazze progetta una rapina ad una "società" criminale composta da tutti uomini. E' come una lotta tra i due sessi. Ma qualcosa va male e una delle quattro ragazze viene catturata per poi fatta uscire di nuovo dal carcere grazie all'aiuto delle amiche che fanno di tutto e di più pur di liberarla. Una volta fuori ha inizio il processo per rimettere in sesto il gruppo, meno una che a causa di un brutto incidente è rimasta in coma. L'impresa riesce bene per le ragazze, ma come quasi in tutti i film non è solo la parte nemica ad aver subito delle sconfitte. Anche le ragazze perdono pià di qualcosa, e dal finale traspare un po' di malinconia. Valeva davvero la pena che tutto ciò succedesse? Non so se i personaggi hanno meditato sulla loro criminalità, ma sicuramente da entrambe le parti, amiche e nemiche, ognuno in cuor suo ha dato l'impressione di soffrire ogni sua azione e ogni male gratuito offerto. Con questo film confermo l'ammirazione per la new entry nella mia cerchia di attrici preferite: Pilar Lopez de Ayala (Giovanna la pazza, Lope...), madrilena 34enne, doppiamente discendente da Cristofolo Colombo e nata il mio stesso giorno e mese dell'anno. Doppiamente brava!

VOTO: 7

lunedì 26 settembre 2011

"La pelle che abito" recensione

Non ho mai atteso così tanto un film tanto da andare al cinema il primo giorno in cui è uscito nelle sale cinematografiche italiane, il 23 settembre, dopo 21 giorni dal suo estreno in terra madre. Arriva finalmente al cinema, direttamente dalla mia amatissima Spagna il nuovo capolavoro di Pedro Almodovar, La pelle che abito (La piel que habito).
L'ho atteso tantissimo, da più di un anno seguo ogni notizia, guardicchio foto di scena sul set e ascolto o leggo interviste, tanto da emozionarmi quando il cast arriva a Cannes dove va via quasi a mani vuote, ahimè. Fortunatamente a solo due settimane dalla sua uscita già riceve un premio in Giappone, così Pedro (o come disse Penelope Peeeeeeeeedroooooo!) può tranquillizzarsi. Sono sempre più convinta che ci si debba impegnare molto nei primi lavori e che se ti fai un nome tutto fila più o meno liscio come l'olio, e Pedro lo sa anche lui.
Si diceva fosse uno dei suoi migliori film oltre che quello che più si allontana dalla sua filmografia essendo La piel que habito il suo primo thriller vero e proprio. Dico vero e proprio perchè elementi da thriller sono presenti in altri dei suoi film con la differenza che in questo il thriller è il genere dichiarato. Entusiasta sono entrata in sala ed eravamo meno di dieci. Mi sono sorpresa ma non troppo. Gli italiani ne hanno di strada da fare, e non stupisce che questo film risquota più successo di critica che di pubblico. Per lo meno in Italy. Come ci siamo ridotti... Spero che in questi giorni le cifre migliorino perchè merita, e non lo dice solo una che è spudoratamente almodovariana.
La trama la sapevo già, ma sapevo che qualche colpo di scena mi avrebbe fatta morire dalle risate oltre che colpire e riflettere, e il colpo c'è stato e non potevo crederci. La storia non è originale, si tratta di un soggetto adattato alla novella "Tarantola" di Thierry Jonquet. Ma non vi credete che perchè non l'abbia ideata Pedro, sia una storia i cui meriti sono solo dell'autore. Assolutamente no, Almodovar ha fatto un gran lavoro, ci tengo a dire che il film porta la sua firma in ogni inquadratura, in ogni colore e nello stile di ciascuna persona che ha messo mano a questo suo grande progetto. Si riconoscono anche in una storia diversa dalle altre le sue tendenze e le sue particolarità che lo rendono autore brillante del cinema spagnolo e qualcosa mi dice che presto mondiale. Elena Anaya è la protagonista, battezzata dallo stesso Almodovar come la futura Penelope Cruz. Grandissima attrice! Antonio Banderas la accompagna in questa vertiginosa lotta verso la sopravvivenza, life motive dell'intero film. Banderas è il più grande attore spagnolo (prima o dopo?) con Bardem. Nel film è così lucido e consapevole delle follie che mette in atto da farle sembrare quasi giuste e corrette a chi guarda. E' un folle gentiluomo, ha le sue ragioni e da lì non si scappa. Altra presenza che vorrei lodare è un volto nuovo per l'Italia, ma non ancora per molto. Si tratta di Blanca Suarez, madrilena ventiduenne che interpreta la figlia di Banderas, Norma, una ragazza con problemi non dalla nascita. Appare in sole tre scene ma la sua ultima scena vale più di tutta la filmografia della Arcuri messa assieme a quella di Gabriel Garko. Stupenda, emotivamente perfetta ed arriva in una maniera impressionante per l'età che ha. Sono positivamente sconvolta da questa ragazza, è adorabile! Insieme a loro tre anche la mia cara Marisa Paredes che è un classico in Almodovar, e Jan Cornet e Alberto Alamo. Ma mi sbaglio o mi è semblato di vedele niente popo di meno che... Augustin Almodovar? Il fratellone produttore di EL DESEO che insieme a Pedro finanzia i suoi film e non solo. Tutto ciò che sia alternativamente diverso, si sa.
Altri accorgimenti. Nel film ci sono pochi dialoghi  mi sbaglio? Ci sono motlissime scene silenziose e non meno significanti. L'uomo tigre è sbucato fuori da uno dei film sperimentali della prima era Almodovar, ne sono certa. Era l'elemento meno lineare, direi l'intruso in una storia che a prima vista poteva sembrare normale. Poi alcuni dialoghi mi hanno smentita. Sembrava tutto troppo strano in quel modo, ci voleva qualcosa di tutto suo (di Almodovar). Se dovessi individuare cosa di questo film mi è piaciuto di più direi che l'ho apprezzato nel suo complesso per essere qualcosa di diverso da quello che normalmente siamo abituati a vedere, e non è poco. Poi la storia in se è spettacolare, a me ha fatto pure ridere dalla tristezza. Tutto è un insieme di emozioni contrastanti, adoro il modo di sdrammatizzare di Almodovar che quando avviene una tragedia riesce a far finta di niente. E' reale tutto ciò, se nella vita vera dopo una morte vicina ci togliessimo poco a poco la vita pure noi sarebbe impossibile continuare. Almodovar toglie la pausa di mezzo tra il lutto e la ripresa dei personaggi e oltre a risparmiare tempo ottiene un risultato sorprendente. In La pelle che abito è un po' diverso, ma c'è anche questo. E' particolare, non c'è dubbio, ma se vuoi vedere una storia normale non vai a vedere Almodovar. E forse non è nemmeno questo. Quello che suona a prima vista stonato nei suoi film è il modo in cui fa succedere le cose, non le cose in se. Sembra tutto molto finto a volte, e forse fa bene distaccarsi un po' dalla finzione. Tra i tanti La pelle che abito è quello che sembra più reale. Insomma, è indiscutibilmente lui. Pedro, Pedro, se non fossi gay ti corteggerei...

VOTO: 9

venerdì 27 maggio 2011

Medem e la sua "Habitacion en Roma"

L'ho sempre pensato che i film spagnoli hanno un tocco in più di quelli italiani degli ultimi tempi. Ma un tocco in più in molti campi. Noi italiani siamo per tradizione i più puritani, ci autocensuriamo, e spesso non facciamo male. Ma gli spagnoli non conoscono davvero limiti! Non voglio però di certo fare la moralista o la bigotta in questo senso. Sono semplicemente realisti, e lo ammiro. Anche se a volte a mio avviso esagerano.
Mi è capitato spesso di sentir parlare di un tale Julio Medem. Conoscete? Io solo di nome fino a poco tempo fa. So che ha fatto un film che anni fa mi è capitato erroneamente di scaricare, "Lucia y el sexo", e che ho subito cancellato visto il titolo, infatti avevo preso il solito pacco di eMule che ti fa scaricare un film passandolo per un altro. Poi anni dopo parlando con amiche ho scoperto che è un bravo regista spagnolo, lo stesso di Habitacion en Roma (Room in Rome). 
E poichè quella sera non sapevo cosa guardare, visto che questo film era da poco uscito al cinema e già avevo la possibilità di vederlo in streaming (in più la rivista di cinema "Fotogramas" ne parlava bene), decisi di vederlo. Ovviamente non era niente di quello che mi aspettavo. Per quello che so su "Lucia y el sexo" senza averlo mai visto, pare che sia sempre su quello stile, se addirittura non peggio (o meglio, direte).
Una delle due protagoniste di questo film è Elena Anaya, di cui avrete sicuramente sentito parlare ultimamente per la sua presenza a Cannes con il nuovo film di Almodovar in concorso, La piel que habito, che aspetto con ansia. Lei è bravissima, davvero una gran attrice. La sua compagna in questo viaggio italiano è un'attrice russa, Natasha Yarovenko, pressocchè sconosciuta, almeno a me.
Il film, apparte le scene molto dirette, ha qualcosa di interessante in se. Racconta la storia di due ragazze ognuna per conto proprio in viaggio a Roma, che una sera si conoscono in un locale e finiscono la serata insieme. Una è omosessuale, l'atra no. Le due non si conoscono completamente, ma partendo dall'attrazione fisica portano avanti per un'intera notte una sorta di conoscenza l'una dell'altra. Conoscenza che però non può trovare riscontro in nulla, visto che non se ne può accertare la veridicità. Ognuna si racconta, a piccoli passi, con brevi episodi della propria vita, ma in realtà non si può dimostrare se le due stanno raccontando il vero su di loro. Potrebbero essere chiunque, potrebbero star mentendo. E di fatto lo fanno. Questa è una guida di quello che succede quando ci troviamo di fronte a uno/a sconosciuto/a. Il processo di conoscenza che si avvia in automatico e nasce naturale, e la curiosità di volersi scoprire quando sentiamo attrazione o curiosità per qualcuno, uomo o donna che sia. Inizialmente, il mio giudizio imminente è stato negativo. Mi sembrava un film noioso e ridicolo. Ma a pensarci bene, Medem ci vuole presentare una storia senza pregiudizi, in cui noi conosciamo dei personaggi quanto loro stessi conoscono di loro. Niente. Come niente sapeva l'una dell'altra. E lo scopriamo insieme, ci meravigliamo con loro, e seguiamo con attenzione quel percorso che porta il personaggio a spogliarsi completamente di ogni maschera, per vederlo per quello che è. Interessante, insomma. A volte un film che sembra essere fatto per altri scopi, con molto risparmio sui vestiti, e di cui abbiamo pregiudizi, ha invece un suo significato.

VOTO 6