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giovedì 9 giugno 2011

"Sciuscià"

Quasi costretta, quindi per forza maggiore, in questi giorni mi sto dopando di cinema neorealista. Italiano, ovviamente. Tutto questo per colpa di un esame da dare, ma se non fosse stato per questo forse questi film non avrei mai scelto di vederli. Stando così le cose, ben venga il tanto atteso esame di Storia del cinema se mi porta a farmi una cultura in bianco e nero!
Sono convinta che poca gente della mia età sa cosa realmente è stato il cinema italiano del secondo dopoguerra. Pochi sanno che siamo stati i primi in molte cose in quel periodo (cinematograficamente parlando), e che abbiamo ispirato gli americani a fare altrettanto. Dopo ci sarebbero arrivati pure loro forse, ma noi per primi abbiamo stravolto le regole del continuity sistem, il cinema classico americano, rigido e pieno di regole indistruttibili. Abbiamo trasgredito, e abbiamo vinto, oh sì che abbiamo vinto, eccome!
Sciuscià è sicuramente uno di questi capolavori di cui parlo. Diretto dal maestoso Vittorio De Sica, è ambientato nel post guerra, come tutti i film del periodo, e narra le vicende di due ragazzini arrestati per detenere un cavallo, e per altri furti, raccontandoci la loro vita in carcere, ed infine fuori dal carcere, se di vita ancora si può parlare. E' un film pieno di movimento, ma va seguito con molta attenzione perchè è facile perdersi. Si tratta di piccoli passaggi che di volta in volta cambiano le loro sorti, non poi tanto. Sicuramente è una realtà crudele, non per niente stiamo parlando del riassestamento dell'Italia dopo la distruttiva seconda guerra mondiale. Non era facile vivere in quel contesto, tanto meno per gli sciuscià, poveri lustrascarpe che non possedevano niente e che ancora bambini venivano rinchiusi in carceri e addirittura processati! Giustizia strana. Secondo me non era quello il modo giusto per farli crescere. E mi ha sorpreso una scena in cui una specie di direttore del mini carcere ha ringraziato un capo per le condoglianze, gli era morto il figlio. Suo figlio sicuramente viveva bene, da pascià, ed'è morto, mentre tutti quei bambini erano ancora lì, quasi tutti senza un padre lì fuori. Certo mai gli sarebbe potuto venire in mente di prenderne uno con se...
Ma... quanto dovrà aspettare ancora il nostro cinema per tornare a essere IL cinema? Da tanto me lo chiedo... bisognerà attivarmi.

VOTO: 8

venerdì 20 maggio 2011

Questi ladri di biciclette...

Emo Philips ha scritto così: Una volta ho pregato Dio di regalarmi una bicicletta. Poi ho capito che non è così che lavora e allora ne ho rubata una e gli ho chiesto di perdonarmi.
Mi ha lasciato senza parole. Solo una cosa: quante storie ci inventiamo per giustificare i nostri comportamenti. Ma mi fa pure sorridere e pensare che questo tizio non ha capito niente, nonostante tutto, almeno nella sua non credenza mi ha ricordato un mitico film del 1948 di Vittorio De Sica. "Ladri di biciclette", appunto. Uno dei film italiani più premiati, Academy Awards (Oscar) nel 1949 a miglior film straniero, ma anche Globo d'Oro, tra altri riconoscimenti. Era da tempo nella mia lista dei film da vedere assolutamente. E finalmente l'ho visto. Dura molto, e non sono abituata a reggere per due ore film in bianco e nero. E' stata dura, però è andata bene. Sono comunque convinta che per questi film vecchi ci voglia una certa sensibilità. Per quanto riguarda me, va solo allenata. 
La storia ha come contesto la nostra solita Italia anni 40, quella della miseria e del realismo tanto premiato e con cui ci identifica l'intero mondo cinematografico. E sono orgogliosa di questo. 
Il protagonista ha una moglie e un figlio. Cerca lavoro. Lo trova, ma per essere preso ha bisogno di una bicicletta. Ma non possiede il denaro sufficente per comprarla. La moglie vende delle lenzuola, così lui può finalmente comprare la bicicletta e lavorare. Ma le biciclette all'epoca erano un lusso per pochi, e chi non poteva permettersele si divertiva a rubarle in giro. Un giorno, mentre lavora, anche la sua bicicletta scompare e per tutto il film quel delizioso Lamberto Maggiorani si appresta a cercarla disperatamente, come se fosse la cosa più importante della sua vita, come oggi noi ci metteremmo a cercare un'automobile o... un figlio! Visto con gli occhi di una figlia del nuovo millennio, sembra tutto un po' comico, ma messa nei panni di quell'uomo che senza quella bicicletta non poteva vivere, allora capisco che era fondamentale ritrovarla, vitale. A distanza di 70 anni, che volendo non sono neppure tanti, vedere come tutto è così esageratamente cambiato mi fa sentire sollevata ma anche triste. Era davvero difficile vivere fino a poco tempo fa, siamo cambiati tantissimo, e chissà quanto ancora cambieremo. Sopravvivere grazie a una bicicletta, quando oggi in casa ne abbiamo almeno 3 e non le usiamo nemmeno se non per fare delle passeggiate. Grazie per essere nata negli anni 90! Questo si che è Neorealismo italiano, questo si che è CINEMA ITALIANO!

VOTO: 9